21 Luglio 2009
Le ragazze chiuse nelle stanze accanto con i fidanzati o i clienti, gemono per qualche minuto, poi tacciono e chissà se in Bolivia, fare l’amore è solo una questione di 3 minuti.
Non riesco a dormire. Da una parte i gemiti mi infastidiscono, dall’altra richiamano alla memoria i momenti in cui a fare gemere una donna, ero io.
Non puoi farci niente. Assistere con l’udito ad un amplesso, ti fa incazzare ed arrapare nello stesso tempo.
Però dopo i primi gemiti, iniziano delle conversazioni accese, qualche parola di lui detta ad alta voce, il rumore dei suoi passi, la porta che si apre e si chiude sbattendo.
Il tipo cerca di uscire dall’allojamento, ma è chiuso a chiave. Il tipo inizia a suonare il campanello a battere la mano sulla porta a vetri e lo fa senza la minima preoccupazione che ci sia qualcuno a dormire.
Del resto questo è un posto per scopare, non per passarci la notte…
La padrona scende, gli parla e gli chiede dove sia la sua compagna.
Nella stanza, me ne vado solo
Scordatelo, qui o ve ne andate tutti e due o non ti apro
…
Signorina? – urla la padrona bussando alla porta della stanza chiusa a chiave
…
Signorina?!
…
Signorina mi apra!
Alla fine la tipa apre, i due se ne vanno e la mattina, quando mi sveglio per partire, mi faccio raccontare tutto.
Niente di che – commenta la padrona – sono entrati per fare l’amore, hanno litigato e lui voleva lasciarla qui
Poteva dire alla ragazza di dormire in camera mia!
Ahahahahaha
Sul serio signora…
Così parto con una banana nello stomaco, cambio il filtro dell’aria con uno pulito, faccio il pieno e mi preparo a sfrutta al meglio il sole che è sorto per cercare di sfruttare al meglio questa Bolivia gelida.
Cercando la via per Battallas ed il Lago Titikaka, ritorno malcapitatamente a La Paz, ma questa volta la moto funziona bene e non vomita per colpa dell’altura. C’è traffico, è vero, ma scattare foto è un vero piacere. Ai lati della strada noto gli stessi lucida scarpe che c’erano un po’ ovunque in Cina.
Ricordo che nel 2006, mia madre in visita in Tailandia, mi aveva detto che per curare gli stivali moto in pelle, è bene metterci sopra dell’olio idratante o comunque evitare che si secchino.
Mi guardo gli stivali, grigi e sporchi di mota secca, guardo un lucida scarpe in attesa di cliente e gli chiedo quanto costa.
3 bolivianos!
facciamo 5 – dico io
Mi guarda incredulo. Di solita la trattativa vorrebbe abbassare il prezzo, non alzarlo. Si chiama Carlos e mentre mi rinnova gli stivali con due colpi di spazzola, un panno e delle creme colorate per pelle, mi chiede come è l’Italia, se è fredda e se la moto mi ha dato problemi.
Fatto – dice lui
Come nuovi – dico io – tenga – e gli porco 10 bolivianos (1 euro)
…
Pago 10, ha fatto un buon lavoro
Mi piacerebbe essere ricco sfondato e viaggiare in cerca di chi si merita un aiuto in più. Mi sono spesso dispiaciuto di incontrare persone generose e bisognose disposte ad aiutarmi proprio nei mesi in cui le mie finanze stavano finendo e pregavo di trovare lavoro al più presto.
Adesso invece che sono uscito da un anno di lavoro in Nuova Zelanda, mi sento in dovere di non fare il cascamorto e dare una buona mancia a chi lavora per vivere. Magari sono pessimo con chi chiede l’elemosina (perché ho sempre la sensazione che a volerlo, un lavoro più dignitoso dell’accattonaggio lo si trovi), ma se una persona di professione mi rende un cliente felice, eccoti la mancia!
Carlos mi guarda basito e senza dire niente, mostra negli occhi una cerca gratitudine, mista ad un senso di fortuna. Deve aver pensato ch’io fossi un turista ricco sfondato.
Che le vaja bien!
Egualmente!
Così cerco la via per Battallas, mi intrufolo nelle vie affollate di La Paz, ritorno a Lo alto ed imbocco la tangenziale. L’illusione di ritmo di guida normale nonostante l’altura, svanisce al primo pieno benzina, momento in cui la moto riprende a vomitare ed io mi ritrovo super nervoso.
Il Lago Titikaka fa capolino alla mia sinistra e le vette innevate pure e nitide, spuntano alla mia destra. In fronte a me, un cammino dritto, freddo e grigio.
Battallas, Achacachi ed ecco che mi ritrovo in mezzo ad un corte indigeno che celebra chissà quale festività. Sono un centinaio, tutti vestiti per l’occasione. Le donne ballano con una coordinazione quasi perfetta, agitando una ruzzola di legno che produce una dolce percussione. Gli uomini, vestiti in maniera differente, ballano o suonano delle enormi trombe bianche.
Il traffico, in entrambi i sensi, si ferma ed ammira felice. Fa ancora freddo, la moto è ancora malandata, ma per un attimo la mia testa si lascia incantare dal significato esotico di queste danze armoniche e colorate.
Poco dopo Achacachi, inizia una enorme discesa fra le montagne. Il sole già ha cambiato il suo colore e l’infinita serie di tornanti che terminano a valle, preannunciano qualcosa di buono. L’aria secca è già assente e nelle vicinanze dei prati si annusano gli odori di erba.
Inizia la discesa, per minuti e minuti, lungo tornanti che si stringono sempre più, fino a portarmi dentro ad un sentiero fatto di sterrato che termina in una stazione di servizio ad una pompa sola.
Faccio il pieno e poco dopo, affascinato dall’immediato cambio di paesaggio, clima e colori, mi fermo per un pranzo.
10 bolivianos per una zuppa squisita e quattro chiacchiere con la padrona ed il figlio. Noto sulla parete i poster di John Cena ed il Wrestling americano e mi diverto a chiedere al ragazzino quale sia il suo lottatore preferito.
Noto negli occhi di una madre, sempre un grande piacere nel ascoltare il figlio raccontare qualcosa che lo appassiona.
La madre sorride alle mie domande e gioisce nel vedere il figlio rispondermi preparato e pieno di entusiasmo. John Cena, la sua omonimia con il mio nome John, mi perseguitano dai tempi dell’Indonesia. Ho sempre ottimi ricordi quando vedo la foto di questo ragazzo tutto muscoli campione de WF.
Riparto in discesa, su un sentiero di terra che non ho idea quanto durerà e dove mi porti. Nella mappa che ho comprato ieri appaiono i nomi di alcuni paeselli, fra cui Sorata e Tacacoma.
Sembra impossibile di essere partito questa mattina con –3 gradi di freddo e ritrovarmi adesso a sudare come un porco fra i sentieri di questo paradiso. Passano poche decine di minuti e mi tolgo il caco. Poi la giacca, poi la felpa.
Alla fine, totalmente ipnotizzato dai paesaggi ed il sole che bagna ogni cosa di una luce calda e densa, finisco con il rivivere alcuni km del Vietnam, del Laos e degli appennini Toscani. Procedo a passo lento, sopra i 40 km/h, il motore è super caldo e la ventola, che è ancora rotta, non mi è di aiuto.
A volte mi fermo all’ombra aspettando che il motore si freddi e scatto foto da per tutto. Altre volte entro lentamente nelle pozze di fango o nei piccoli ruscelli che tracciano ogni tornante sulla sinistra, cercando di far affluire più acqua possibile sul motore.
Ci sono momenti in cui mi sento così dentro al sentiero su cui guido, da riscoprirmi assuefatto e con il batticuore. Non c’è niente di innaturale o speciale in quello che mi circonda, ma la semplicità, l’autenticità e la grazie che sprigiona è tale da farmi venire il batticuore.
Non è come ritrovarsi in una San Pedro de Atacama, dove ogni edificio è stato messo lì ad uso e consumo del turista. Qui le case di paglia, gli animali nel campo, i pastori di fianco alle vacche, i ruscelli, la polvere, le nuvole candide adagiate sulle vette più lontane sono tutte il frutto del segno inarrestabile del tempo e della storia che questo luogo racchiude.
Qui le cose non sono. Qui le cose accadono. E’ c’è più verità nell’odore acre di sterco secco che aleggia nell’aria, di quanta ce ne sia in un ostello di Bangkok con vista su Khao San Road!
Ma che mi ripeto a fare. Le cose sono anche banali da capire, non ci vuole la scienza.
Passare per un paese, non è la stessa cosa che entrarci dentro.
Controllo lo Scottoiler di tanto in tanto ed il cavalletto centrale, che mi da sempre problemi quando mi incammino in sentieri sconnessi e pieni di sassi. Le ruote, già sgonfie da ieri, si comportano come sempre. Se guido con prudenza proseguo bene, altrimenti sono per terra.
Comincio a pensare che forse, la prossima volta che cambio le gomme, dovrei fare una scelta in base al tipo di strade che prediligo. Dal 2007, l’asfalto è diventato una noiosa punizione, mentre lo sterrato è l’apoteosi del divertimento.
Immagino il prossimo treno di gomme sarà un tassellato!
La catena è secca e ricoperta di terra. Lo Scottoiler è settato su 0 e le parti di plastica meno stabili cominciano ad allentarsi e produrre nuovi rumori e nuovi cigolii. Ero solito infastidirmi per queste imperfezioni stilistiche della moto. Adesso penso abbiano un valore romantico incommensurabile.
Mentre guido e raggiungo un qualunque punto immaginario sulla mappa, muoio dalla voglia di scrivere qualcosa su questo momento. Di condividerlo con i lettori e mostrare tutto questo. Ero stato ben attento agli aggiornamenti web di chi come Daniele e Miriam avevano attraversato questi posti prima di me ed ero entrato in Bolivia senza molte aspettative.
Pensavo che Uyuni sarebbe stato la destinazione finale, visto che in entrambi i blog avevo visto fotografie e video molto suggestivi.
Non avrei mai immaginato che pochi km più a Nord-Est, avrei trovato uno dei luoghi più belli mai visitati in 4 anni.
Per me vuol dire tanto. Sebbene non sia la ricerca di questa bellezza paesaggistica ch’io vada cercando o che alimenta la mia sete di viaggiare, ritrovarmi a guidare la mia scassatissima moto in questa zona della Bolivia, è un’esperienza appagante e rigenerante allo stesso tempo.
Salgo ancora un po’ e poi discendo. Le nuvole, in questa parte alta del sentiero, sono bianche, dense ed immobili. Si innalzano di pochi metri ed ecco che non vedo niente. Mi fermo per una foto.
Sono dentro la nuvolaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
La moto fa ancora un po’ di fatica quando il sentiero sale, ma non accusa la fatica che mi faceva rallentare a La Paz- Anche la più semplice salita, diventava un’impresa rumorosa, lenta e stressante.
Raggiungo vari paeselli in cui varrebbe la pena fermarsi, ma sono come abbagliato dal desiderio di continuare a percorrere questo sentiero.
Quando il sole comincia a calare e mi rimetto la felpa, decido che il prossimo paesello sarà quello in cui passerò la notte.
Si chiama Tacacome ed è bellissimo. La vista, il silenzio, la disposizione delle case, la piazza ampia e asfaltata e le strade periferiche di terra, sono un incanto.
Il primo allojamento mi chiede 10 bolivianos, ma non mi ispira niente di buono. Torno così all’inizio della città, dove una ragazza bellissima mi ha sorriso da un balcone.
Posso dormire a casa tua?
Lei mi sorride, scende di casa e mi invita a seguirla. Mi accompagna in una pensione non troppo lontana. Decido di camminare con lei e di parlare.
Ha un viso femminile e dei capelli lunghi e ben curati. Il sorriso ampio ed il portamento di una donna che non si lascia imbambolare dal primo che passa.
Voi turisti siete tutti dei conquistatori?
Beh, se io incontro una donna che mi piace, che devo fare, finta di niente?
La pensione mi chiede 15 bolivianos, con doccia fredda. Riaccompagno Amelia a casa e le chiedo se dopo le 20, possiamo ritrovarci da lei per fare due chiacchiere. Mi dice che si, dopo le 20 va bene.
Mi bagno con acqua gelata ed al posto del pisello, in mezzo alle gambe mi ritrovo un clitoride.
Sono pronto per uscire e raggiungo casa di Amelia a piedi, con qualche foto da mostrarle. Ad aprirmi la sua coinquilina che con aria riservata mi dice che Amelia sta dormendo e che mi augura buon viaggio.
Sta mentendo, ma preferisco andarmene senza implorare nessuno.
Mentre volto le spalle senza dire niente, la tipa mi dice buona fortuna e tante altre cosette buone per compensare l’imbarazzo di dovermi congedare così sulla porta di casa.
Però in piazza trovo un gruppo di 12 bambini e così inizio a giocare a palla e 1,2,3 stella, finché non era per tutti di andare a dormire.