Città toccate durante la traversata in Vietnam: Lao Cai, Yen Bai, Hanoi, Ha Long Bay, Hoa Binh, Dien Chau, Ron, Dong Ha, Quang Tri, Hue, Da Trang, Dao To, Kon Tunh, Ninh Hoa, Nha Trang, Cam Ranh, Pha Rang, Phan Thiet, Ho Chi Minh City, Tay Ninh
Fisso il timbro di uscita cinese sul mio passaporto e realizzo che questa é la prima volta che entro in un paese sprovvisto della mia moto.
Lei se ne sta custodita al porto di Dalian, in Cina, dove Mr Fu Hao mi ha promesso di spedirla a Bangkok non appena gli avrò inoltrato la notifica del mio arrivo in Thailandia.
Per adesso me la devo vedere con il Vientam, con il fatto che non ho nemmeno una mappa e come al solito evito ogni consiglio spassionato da parte di altri turisti o locali troppo furbi, per andarmi a cacciare tutto da solo in situazioni tipicamente rocambolesche.
Arrivo ad Ha Noi, dopo un viaggio di 7 ore incastrato a dormire fra i piedi dei vietnamiti che mi fissano e parlano di me e ridono del fatto che invece di occupare la panca che ho riservato su questo treno regionale, mi sdraio sotto di esse sul pavimento sporco ed appiccicoso per distendere le gambe e dormire.
Le uniche informazioni che ho riguardo al Vietnam sono che esiste un centro gestito da un inglese che affitta moto russe vecchio stile.
Mentre cerco di capire dove sono, spendendo le mie serate in Ha Noi in compagnia di Emma e qualche altra affascinante viaggiatrice in giro per il mondo capitata casualmente nello stesso momento all’ostello in cui alloggio, trovo l’ufficio del Minsk Club e faccio una visita per scegliere la moto che noleggerò.
Prendo quella blu. Rumorosissima, vecchio stampo, semplice come la famigerata manodopera russa e dotata di portapacchi laterali vecchio stile e priva, fra le tante altre cose, di una chiave di accensione.
Firmo un contratto e pago una caparra di 300 dollari americani. Mi verranno resi quando consegnerò la moto e la serie di ricambi ed attrezzi di cui vengo fornito per la mia partenza da Ha Noi.
Destinazione Ho Chi Minh City, a 1890 km di distanza, nell’estremo sud del Vietnam.
Per guidare una moto come questa non mi viene chiesto nemmeno un documento, o la patente. Bastano la caparra ed i 7 dollari al giorno che pagherò per un periodo totale di 10 giorni come noleggio del mezzo.
Pago inoltre 50 dollari per il servizio di recupero moto da Ho Chi Minh ad Ha Noi. L’idea infatti é quella di guidare la Minsk da Nord a Sud e poi restituirla senza doverla guidare di nuovo indietro. Ci pensano loro per 50 dollari così io posso entrare indisturbato in Cambogia, sempre più vicino alla Thailandia, dove troverò la mia to ad aspettarmi.
Quando lascio Ha Noi in sella alla Minsk ho trascorso già alcuni giorni nella capitale per farmene un’idea che mi incuriosisce. Anche i giorni ad Ha Long Bay con Emma hanno dato un tocco romantico e personale al mio soggiorno in questa afosa e congestionata città.
Piazzato sul porta pacchi posteriore il mio zaino con abiti e computer. Sui lati ci sono la tenda, il materassino, il tre piedi, il sacco a pelo e la giacca Clover arrotolata visto che in un paese monsonico come questo non ce ne sarà bisogno.
La tanto desiderata strada mi riaccoglie a sé, portandomi in pochi minuti al di fuori da traffico per gettarmi nella più bella e sperduta campagna.
Rimango folgorato!
Il Vietnam assomiglia ad un’enorme cartolina dai colori molto acessi e dalle circostanze più affascinanti.
E’ come vivere per mesi dentro ad un cubo di cartone e poi uscirne e ritrovarsi ad un luna park, affascinati dai colori, dalle persone che sono nei paraggi e dal suono della circostanza.
Il Vietnam é qualcosa di diverso da un vero e proprio luna park, ma credetemi, di cose da vedere dalle quali lasciarsi totalmente risucchiare senza avere la benché minima idea di come descrivere a se stessi l’immenso stupore di tali visioni, ce ne sono troppe per poterle contare.
La tratta del mio primo giorno on the road é breve e muta. Inizialmente ho come la sensazione che sia il tempo speso in Cina a lavorare ed in treno attraverso tutto il paese a dare al Vietnam tutto questa bellezza incontenibile, poi a mano a mano che proseguo, addolcito dal sole che tramonta e dalla moltitudine di fotografie che i miei occhi memorizzano a destra e manca sfrecciando nel verde, m rendo conto di essere in un vero e proprio universo meraviglioso.
Inizia a piovere e così é tempo di correre ai ripari e provare la nuova tenda comprata in Dalian per 10 euri.
Mi avventuro con la Minsk in un sentiero fuori strada talmente sconnesso e umido che nemmeno con i fari abbaglianti riesco ad orientarmi e capire dove mi sto dirigendo.
Spengo il motore su una superficie abbastanza piana e mi avventuro in ciabatte con la sola luce che la torcia del mio cellulare emette. Mi affido all’olfatto e riconosco la presenza di sterco ovino e concentrandomi sull’udito riconosco un flusso d’acqua che calmo segue il soffio del vento notturno.
La tenda regge perfettamente la sua prima notte di pioggia ed é al mattino che svegliandomi ammiro un uomo in barca pescare con una tecnica vecchissima a rete e bastone dinanzi a me, spostandosi sul lago che scopro, si apre nel verde più intenso.
Il clima migliora ogni giorno e con lui anche il mio entusiasmo. Le cose che vedo, gli odori che registro e le realtà che ad ogni chilometro tocco non sono mai ordinarie, scontate, previste, immaginate.
Strillo in sella alla moto, sorridendo agli uomini che lavorano nei campi, facendo gli occhiolini alle ragazze che badano ai bambini e sventolando la mia mano energicamente a tutti quei mocciosetti nudi che mi rincorrono e mi circondano ogni qual volta mi fermo per una foto e per accarezzare un maiale nero che si sdraia al sole.
Fosse solo un mero giro in moto, un gara contro la tecnologia o un resoconto metallico ed inumano fedele a tutti questi chilometri, i guasti al motore o chissa ché, non avrebbe senso spingersi così lontano da casa. Basterebbe guidare una moto in un circuito ovale finché il motore od il suo pilota, dopo settimane di guida estenuante, non si spengono dando esito a quello che i tecnici amano chiamare dati.
Questo invece, e qui in Vietnam ancora più di prima, vuole essere una scoperta, spinta dalla curiosità che sono certo anima ogni singolo essere umano.
Oggi ci sono io, domani spero ci sarete voi a coprire queste strade dove i miei occhi vedono qualcosa che non so descrivere a parole ma che il io sorriso spiega benissimo.
Oggi ci sono io e prima di me chissà quanti altri, a sfrecciare senza fretta e con grande curiosità, nel mezzo di questo verde che é solo uno dei tanti meravigliosi ed inesplorati posti sparsi per il mondo che aspettano di essere vissuti.
La strada é così stretta che a stento ci entrano due auto, ma fortnatamente qui sono così poche che si contano sulle dita delle mani.
Un fiume color terra alla ma destra, montagne ripide e coperte di verde alla mia sinistra e case di legno fatte a mano sparse un po’ ovunque. E poi maiali, anatre, cani ed i relativi bamini che ci giocano.
Alberi con foglie giganti ed abitazioni che all’occhio europeo si direbbero monoposto. Qui invece contengono intere famiglie, dove il giorno si trova l’ombra e la notte ci si sdraia sul pavimento di legno per dormire.
I vietnamiti sono lavoratori.
Nell’ammirare un campo di riso dove 5 o 6 donne piantano piccoli arbusti chinate sotto l’ombra del loro cappello tradizionale, mi rendo conto che quella é la loro vita, senza nessun’altra scelta se non quella di lasciarsi morire di fame.
Non ci sono leggi nella campagna. O orari di lavoro. O direttori o datori di lavoro. Ci sono le grinze sulle mani che forti si sporcano del mestiere e ci sono gli strumenti del lavoro con cui i contadini dotano gli animali da soma per aumentare il proprio prodotto.
Io sono solo un passante. Un ricco europeo o semplicemente un bianco che ogni tanto si ferma, scatta foto, sorride ed abbraccia i presenti, di lascia deridere e fa sorridere i bambini.
Ma loro per me farebbero ogni cosa. Mi darebbero il cibo che coltivano e raccolgono a loro spese e mi ospiterebbero nelle loro minuscole case cedendo la propria parte di spazio per farmi dormire confortevole e fresco.
Amo già queste persone, come ho amato quelle in Russia. Come so amerò anche tutte le altre.
Amo un po’ meno la Minsk, che dopo un inizio clamorosamente positivo, una notte afosa di Maggio mi lascia a piedi nell’aperta campagna con una ruota a terra. A pieno carico riscio di deformare il cerchione e così, sporco come non credo di essere mai stato e di non poter più ritrovarmi in vita mia, mi infilo appiccicoso nel mio sacco a pelo sul ciglio della strafa cercando di riposare qualche ora per mettermi a riparare la camera d’aria alla luce del giorno.
Per farmi una doccia in città, quando sono lontano dai fiumi o corsi d’acqua, imparo a corteggiare la ragazza più giovane di ogni taverna in cui faccio i miei pasti e fra un sorriso latino ed un occhiolino, trovo sempre il modo di semi denudarmi davanti ai presenti cantando filastrocche idiote mentre mi lavo usando l’acqua che mi viene offerta.
E loro intanto se la ridono, mentre la ragazza a cui ho fatto il filo per guadagnarmi una doccia già aspetta che le chieda di sposarmi.
Ricordo scendere dal bus cinese dopo ore interminabili di viaggio lungo una tratta intercontinentale e, una volta sceso, accorgermi che quando sono salito era freddo e adesso fa caldissimo.
Ricordo la gioia nel ritrovare nei cartelli pubblici e stradali le lettere anziché i caratteri cinesi e sentirmi un po’ meno alienato.
Ricordo Emma incontrarmi nella stanza del dormitorio in Ha Noi parlarmi come se ci conoscessimo da anni ed invitarmi a passare con lei 3 memorabili giorni su un battello lungo un tour alle grotte di Ha Long Bay.
Ricordo l’emozione e la paura che ho provato davanti alle sue labbra, prima di quello che sarebbe potuto essere il nostro primo bacio. Poi esitare, detestarmi per la rinuncia e chiedermi perché dormire in Siberia da solo in una tenda non faceva così tanta paura.
Ricordo una donna bellissima immergersi nuda in una vasca scavata nella pietra e tenere fra le braccia, a coprire i seni, la figlia di pochi mesi.
Ricordo tutti quegli internet point sparsi anche nell’angolo più remoto del paese e poi quasi morire di fame in cerca disperata di una taverna o un ristorante.
Ricordo il caldo mortale del Vietnam che mi invita a denudarmi dei miei indumenti durante la guida della Minsk e poi condannarmi al dolore durante le miei notti in tenda passate a cercare la posizione ideale.