Il risveglio è ottimo e la colazione, se uno vuole dirla tutta, ancora meglio.
Banane fritte che, con gli spaghetti alle banane di ieri fanno un bis esplosivo. Mangio ed accompagno il tutto con un caffè ecuadoriano pregustando i km a venire e saluto la famiglia prima di rendermi conto che il signore dagli occhi azzurri è corso a vedere la mia moto perchè due ubriachi si erano avvicinati alla mia tenda piena di cose.
Quando sono pronto per ripartire faccio un controllo olio, sgonfio le gomme e mi incammino lungo gli ultimi km che mi porteranno fuori dal Perù e dentro il primo paese mai visitato nel quale entro dopo 3 anni di sosta in Cile.
Qui lo sterrato diventa fango ed il fango diventa mota e se sono la stessa cosa scusatemi ma mi serviva una parola per descrivere la poltiglia in cui mi ritrovo ad ogni km. Arrivato a San Ignacio faccio benzina e metto grasso nei capezzoli del mono ammortizzatore che cigola come il letto di due amanti. Mi incammino quasi con ansia verso Namballe per poi arrivare a La Balsa e vedere davanti a che tipo di passo di frontiera mi troverò davanti.
Arrivo con non poche difficoltà, visto che ci sono lavori in corso da per tutto e che lo sterrato umido e smosso da tutti i veicoli da cantiere presenti hanno creato solchi profondi e pozze melmose per almeno 5 km. Ogni tanto la ruota dietro se ne va, ogni tanto quella davanti. Ogni tanto la ventola parte ed ogni tanto spero che una volta passata la dogana, troverò quell’asfalto perfetto di cui tutti mi hanno parlato.
Arrivo alla Balsa, faccio le pratiche in pochi minuti ed entro in Ecuador attraversando il ponte. Il poliziotto dell’immigrazione sta giocando a volley ball a torso nudo con altri colleghi e viene a timbrarmi il passaporto in fretta e furia ancora ansimando e tutto sudato. Mi manda all’ufficio accanto dove il doganiere mi chiede passaporto, libretto e patente di guida. Fa le sue cose al computer mentre io guardo con scetticismo la strada che da qui porta più in dentro. Davanti a me ho un bus turistico e la coppia di neo zelandesi che ci sono sopra mi dicono di essere appena entrati e di non conoscere le condizioni della strada da qui in poi.
Torno così al doganiere che intanto ha finito di scrivere e mi dice che la strada è tutta sterrata e che in certi punti è bruttina. Chiedo quanti km per arrivare all’asfalto ma non lo sa.
Poi mi dice che non ha sistema e che deve chiamare per telefono un’altra dogana per avere il codice di importazione temporanea della mia moto.
Passa una ora e quando mi stufo comincio a insistere affinché chiami più volte fino ad ottenere quel benedetto numero. Cambio intanto i miei soles in dollari americani e cambio la mappa del Perù con una meno generale che si mostra la strada fino a Loja ed un paio di villaggi che dovrò incrociare per sapere di essere sulla buona strada.
Con il foglio della dogana in mano parto a razzo curioso come un bambino felice di essere in Ecuador e di non sapere assolutamente niente di questo paese completamente nuovo. Mi frulla in testa la canzone di Sash ed anche le cose che ho sentito dire nei giorni prima del mio ingresso nel paese però più che avanzo più che la strada non è altro che una serpentina sterrata e ben mantenuta che si districa fra le cime verdi della selva.
Ogni tanto un ponte, ogni tanto un fiume, ogni tanto una scarpata, ogni tanto della nebbia, poi piove, poi no ed alla fine sento che è tutto uguale a parti che ho già visto e che forse erano più selvagge di questa. I villaggi hanno case tradizionali, le persone sono vestite normalmente, i modi di fare non catturano la mia attenzione. Poi arrivo a Zumba, la prima cittadina della zona e penso bene di pranzare e riprovare a chiamare Ylenia adesso che ho più tempo. Il pranzo è completo e mi costa 2 dollari. Il ragazzo che siede davanti a me parla italiano ed ha vissuto a Milano per due anni e 10 in Spagna. Adesso vive di nuovo qui e fa il politico.
Un farò mica la stessa fine anche io eh?
Vado ad un internet con telefono e riesco a parlare con Ylenia giusto per accennarle che venerdì prenderò il mio internet day e ci potremo sentire. Io tutto bene, lei tutto bene e questo è quello che conta. Le cosette da coppietta ce le diciamo con più tempo. Lascio Zumba diretto verso Vilcabamba che sulla mia mappa sembra la ultima comunità prima arrivare alla città grande di Loja. Forse l’asfalto finisce proprio lì. Ad ogni modo disto da Vilcabamba 120 km per cui se tutto va bene arrivo stasera.
Le cose si mettono male subito dopo, quando la strada sale di quote ed inizia a piovere come si deve. Il problema “bagnarsi” passa in secondo piano ed il problema “andare avanti” assume una certa vitale importanza quando lo sterrato diventa un mare profondo di fango e mota e strade interrotte da fiume che hanno fatto franare i bordi e pozze e buche e traffico e nebbia ed i 120 km mancanti si fanno lunghissimi.
Arrivo a tarda sera in un paesino chiamato Villadolid che è piccolissimo. Sono forse a metà strada per arrivare a Vilcabamba ma si sta facendo notte e non è il caso di continuare perchè non vedo più niente. Prendo una stanza per 4 dollari e vado in cerca di qualcosa per cenare. Mangio e mi vado a chiudere in camera per caricare fotocamera e cellulare e vedere se domani riesco ad uscire da qui.
Speriamo bene.