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Qua fuori siamo veramente in tanti

L’autore di questo post è David, che ha fatto un grande lavoro di segnalazioni nella sezione del forum Segnala un Moto Viaggio (https://www.partireper.it/forum/moto-viaggiatori-avventura-segnalati-1/).

Ho visto il video di questo ragazzo indiano e me ne sono innamorato.

Ogni segnalazione sul forum è più che benvenuta. Grazie

Gionata

Un documentario pluripremiato, che racconta per immagini il viaggio del filmmaker Gauray Jani, partito dalla città indiana Bombay per arrivare in uno dei posti più remoti del pianeta, Changthang Plateau, in Ladakh, al confine con la Cina. Jani affronta questo viaggio in perfetta solitudine, alla guida della sua moto da oltre 200 chili e con oltre 100 chili di equipaggiamento, che dovranno bastare per tutta la durata del percorso.

http://video.tiscali.it/canali…../2181.html

Riding Solo to the Top of the World dell’esordiente Gaurav Jani è forse uno dei migliori esempi di “Cinema fai da me”, ossia quel modo di concepire, produrre e filmare un’opera audiovisiva, in questo caso un documentario, completamente da solo, aprendola alla collaborazione esterna solo nella fase successiva dell’editing. In questo modo l’intero processo di concepimento filmico diventa una questione strettamente personale, in un certo senso autarchia pura. Ma l’operazione del regista indiano non vuole essere assolutamente una presa di posizione ideologica, né tantomeno una smania o capriccio autoriale, al contrario è mossa da un’esigenza pratica, nel vero senso della parola. Come anticipa lo stesso titolo, il documentario di Jani è un road movie in solitaria su due ruote in cui un uomo, a bordo di una moto carica come un mulo, si avventura alla scoperta di uno degli angoli più remoti, aspri e inospitali della Terra: l’altopiano indiano del Chang-tang, cinquemila metri sul livello del mare. Riding Solo to the Top of the World diventa così un’opera audiovisiva nella quale un uomo, allo stesso tempo protagonista, regista e operatore di se stesso e per se stesso, ha la possibilità di misurarsi con i propri limiti fisico-mentali e con ciò che lo circonda. Il regista/uomo, nella più poetica delle visioni vertoviane, innesca la miccia che da il là allo scontro/confronto fra l’apparato filmico che cattura immagini e il contesto, con tutte le dinamiche interne connesse, dal quale le immagini vengono catturate.
Ma al di là di tutto Riding Solo to the Top of the World, presentato nella sezione Nuove proposte video & Documentando della 43ª Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, è e vuole essere un videodiario che scandisce parola per parola, immagine per immagine, le tappe di un lungo ed estenuante viaggio da Nuova Delhi alla conquista del tetto del Mondo. Jani a bordo di una moto, attraverso distese desertiche, torrenti in piena, altopiani rocciosi, contro il freddo e il cattivo tempo, l’aria rarefatta e via dicendo, documenta e registra ogni cosa, ogni piccola tappa che dà origine ad un’autentica impresa, con lo stesso spirito e intento che animò, secondo traiettorie diverse, Marcello Baldi e il suo Italia K2 del 1955 o I misteri del Mato Grosso di Hidalgo Ceccon del 1951. Il regista posiziona la videocamera, spesso abbandonandola in posizioni critiche ed estreme, dà il alla registrazione e lascia scorrere il nastro, poi una volta terminata la scena torna indietro e verifica la ripresa; solo dopo riprende il suo viaggio. Le parole di un voice over mai invasivo e le note di un leit motiv ricorrente accompagnano l’attraversata, in quello che mano a mano che scorrono i km si trasforma sempre di più in un itinerario che sa di percorso iniziatico. Jani si fa narratore onnipresente, diegetico ed extradiegetico, davanti e dietro la videocamera, penetra in luoghi prima di allora inesplorati (templi, rifuggi, villaggi nomadi) da un obiettivo cinematografico, senza però intaccarne e violarne la sacralità, consegnandoci suggestioni, sensazioni e paure come solo Philip Gröning in Il grande silenzio (2005) è riuscito a fare (altro perfetto esempio di “Cinema fai da me”: filmato in HD Cam con riprese sgranate in Super 8 in 4 mesi tra primavera ed estate 2002 dal solo P. Gröning che l’ha prodotto, registrato e montato, cavando da circa 120 ore di riprese un resoconto di 162 minuti di quasi totale silenzio).
Gaurav Jani si fa anche antropologo, entrando in contatto con diverse popolazioni nomadi del Chang-tang, ne impara usi e costumi, trascorre giorni e notti con loro in uno scambio continuo che riporta la mente agli insegnamenti del Flaherty di Nanuk l’eschimese (1922) o più recentemente all’approccio avuto dalla coppia formata da Byambasuren Davaa e Luigi Falorni nel pluripremiato La storia del cammello che piange (2003).

Scheda tecnica

Regia: Gaurav Jani
Sceneggiatura: Gaurav Jani
Fotografia: Gaurav Jani
Montaggio: Sankalp Meshram
Musiche: Ved Nair
Suono: Dwarak Warrier
Interpreti: Gaurav Jani, popolazioni nomadi del Chang-tang
Produzione: Dirt Track

Nazione: India
Anno: 2006
Durata: 94 min.
Caratteristiche tecniche: DVCam – Colore – Stereo 2.0

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Relativo a David

Dal 1992 ho iniziato a viaggiare con tutti i mezzi possibili, moto e sacco a pelo, macchina, treno, camper, cercando di dare al mio viaggio un’impronta diversa dalla solita. La mia intenzione è sempre stata quella di calarmi nella realtà del paese visitato e mischiarmi con la gente del posto non restando a guardare come uno straniero di passaggio ma incontrandola come un viaggiatore alla ricerca di conoscenza. Ho passato mesi fuori casa senza sapere in realtà dove sarei andato ed ogni volta sono tornato cambiato, più consapevole ed ho abbandonato tanti pregiudizi che il credere di sapere mi dava.

  1. Turekunda ha detto:

    LADROOOOO 😀

      1. Turekunda ha detto:

        L’avevo scoperto ioooooooooooo 🙁
        lo avevo postato io su Fb 🙁
        e si prende i meriti David 🙁
        mi avete reso la gironata triste 🙁
        uff 🙁

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