Gionata in viaggio, TAPPA 7: Vie della Seta

Settimana 9 e 10 (dentro alla Repubblica Islamica dell’Iran)

[Video] Settimana 9 e 10 (dentro alla Repubblica Islamica dell’Iran)

2016: Tour delle Vie delle Seta – SETTIMANA 9 e 10 (#Iran)
Paesi attraversati: 15
Chilometri percorsi: 18.700.
 
“Nel profondo di ognuno di noi c’è il pregiudizio.
A volte affiora come erbaccia e rapidamente la strappiamo via, alcune volte la trascuriamo lasciando che diventi un ostacolo e spesso la strumentalizziamo per giustificare la nostra ignoranza e disinteresse verso ciò che è diverso, facendo di quell’erbaccia il nostro giardino, la nostra fortezza.
Le reltà diverse dalla nostra, per essere comprese, devono essere vissute sulla propria pelle e questo è un requisito estremamente impegnativo. Quindi è più facile fare di tutta l’erba un fascio.
Ed è a sfavore di questo atteggiamento che ho viaggiato nella Repubblica Islamica dell’Iran.”

Video Aggiornamento + Speciale “Entrando in Pakistan”

 
La Repubblica Islamica dell’Iran, se attraversata in moto a fine Luglio, appare come una lunghissima e distesa di asfalto che collega bellissime città. Non ci sono curve (ne ho contate 10 in 3.000 km), la temperatura è detestabile (con zone in cui si può tranquillamente arrivare a 57°C) e il paesaggio è abbastanza sterile e ripetitivo (deserto e qualche parete rocciosa, ogni tanto). Questo lo dico perché a livello motociclistico ci sono molti fattori da considerare quando ci si riferisce a una paese come “bellissima meta da raggiungere in moto” e, di primo acchito, l’Iran non lo è.
Tuttavia, se me lo chiedete oggi, vi risponderò che aver viaggiato in Iran, in solitaria, in sella alla mia moto sia stata una delle più belle esperienze mai provate. Soprattutto perché ho constatato quanto tutti i pregiudizi di cui avevo sentito parlare, fossero sbagliati.
Quando sono entrato in Iran era l’ora di pranzo, avevo fame e uno dei doganieri mi ha comprato il pranzo, senza chiedermi un centesimo. Lo faceva per darmi il benvenuto e dopo gli episodi nel paese precedente, un po’ di ospitalità era quello che mancava. Una volta entrato, disorientato e alienato dai testi scritti in farsi (praticavo il russo da un mese e me la cavavo benino e adesso dovevo già ricominciare da capo) mi sono sistemato in hotel per cercare di rimettermi in sesto dopo la botta emotiva subita durante l’ingresso in Turkmenistan. Così ho negoziato una stanza, dormito più che potevo e la mattina sono andato in cerca di un cambio valuta in quanto, come mi era stato detto, non avrei potuto utilizzare le mie carte.
Esco dall’hotel in pantaloncini corti e il gestore mi rincorre preoccupato fino al parcheggio. Mi spiega di tornare subito dentro e di indossare pantaloni lunghi perché per l’Islam non è consentito mostrare le ginocchia in pubblico. Lo provoco dicendo che non ci sono problemi, male che vada mi guarderanno tutti un po’ male, ma il gestore mi spiega che non è una questione di pudore, è la legge e se la polizia mi vede mi possono dare delle grane. Imparo così che sia le ginocchia che le spalle, in pubblico, devono essere coperte.
Riparto da Sarhas con il pieno di Rial e il pieno di benzina e mi dirigo verso Mashhad per poi proseguire verso Teheran, dove la mia compagna Ylenia ha organizzato una spedizione espressa di ricambi che ho acquistato a Pistoia da Luca Puccianti della LP Moto (catena, corona, pignone, pastiglie freno, dischi frizion e già che c’ero mi sono fatto spedire i miei nuovi adesivi).
Noto subito come il manto stradale sia ottimo rispetto a quello disastrato dell’Uzbekistan e Turkmenistan e procedo a 100 km/h senza turbolenze. Ho ancora il telaietto destro spezzato (da quando sono rimasto incastrato in Tajikistan, durante la frana) e il telaietto si è dissaldato (saldatura raffreddata ad acqua, sbagliatissimo). Di tanto in tanto le auto mi salutano con il clacsson e i camionisti fanno ciao dal finestrino. Salutano anche i militari, i poliziotti, i commercianti e tutti quelli che trovo per strada. Quando mi fermo ci sono sempre persone che offrono della frutta, dell’acqua e che in generale vogliono passare del tempo con me a conversare. Ovviamente a ogni sosta si crea attorno alla moto una gremita folla di curiosi fra i quali spiccano sempre alcuni poliglotti con cui conversare in inglese.
Nel primo pomeriggio raggiungo la periferia di Mashhad per cui decido di pranzare velocemente e proseguire per la capitale che a quel punto dista 1.000 km. La moto però non parte più e quello che sembra essere un banale problema di fusibili, dopo 6 ore di ispezioni lungo il bordo della strada, si rivela essere un problema alla batteria (che avevo acquistato nuova, al litio, due mesi prima). Non potendo credre a questa eventualità finisco per smontare tutta la moto, i cablaggi, il blocchetto accensione e quando non trovo niente scopro che la batteria è partita. Nello stato emotivo in cui mi trovo, emotivamente logorato dai giorni precedenti e non ancora riposato, sento di essere sull’orlo di una crisi e sto quasi per collassare. L’unica soluzione è quella di rendere palese il mio bisogno di aiuto e aspettare che qualcuno mi sollevi un po’. Si fermano tutti e chi non può aiutarmi chiama altre persone in grado di farlo. C’è chi chiama a casa per passarmi qualcuno che parli inglese o chi chiama i pompieri. Alla fine riesco a pensare a una soluzione e decido di affidarmi ad Aziz che, fra i presenti, è l’unico che è rimasto al mio fianco per tutto il tempo. Mi spinge con il suo 125 fino al posto i blocco della polizia dove potrò lasciare la moto al sicuro e poi mi scorta per ore in cerca della batteria. È tardi e i negozi stanno chiudento, inoltre la batteria che mi serve è poco comune e rimbalziamo da un negozio all’altro della città percorrende decine di km senza sosta sul suo 125 (lui tutto ovviamente senza casco, che non è obbligatorio). L’impegno che Aziz ripone in questa missione è talmente tanto che mi stupisco ogni volta che mi dice “ok, proviamo ad andare da un’altra parte”, in Italia non ho mai visto nessuno aiutare un turista con così tanta energia e dedizione. Trovata la batteria ringrazio, offro di pagare la sua benzina, ma rifiuta, dicendo che sarebbe onorato di avermi a casa come ospite. Sua sorella è arrivata da casa (30 km da dove è la mia moto) per parlarmi in inglese e convinverci a dormire da loro. Spiego che è il compleanno di mio figlio e, problema alla batteria a parte, il mio programma era quello di prendere una stanza in hotel, connettermi a skype e fargli gli auguri. La loro risposta è la seguente: se vuoi della privacy possiamo lasciarti la casa per qualche ora, abbiamo internet e non ci sono problemi. Così accetto e li seguo nella loro umile casa a due piani dove Aziz vive con la moglie, 3 figli e la sorella. Aziz fa il camionista e l’indomani dovrebbe lavorare, ma visto che sono l’ospite, decide di farmi compagia durante le operazioni di riparazione telaietti e catena, che cercherò di realizzare l’indomani con i suoi suggerimenti. Dopo cena, quando tutti sono a letto, mi collego con l’Italia e alla fine tutto l’affanno si traduce in me che parlo con Ylenia e mio figlio che è troppo impegnato a giocare con i nuovi regali. Che merdaccia, proprio come suo padre :).
Durante la colazione arriva la notizia dell’attentato a Nizza e la giornalista della CNN menziona più volta la parola islam, ma i membri della famiglia non sembrano essere minimamente interessati. Più volte, in questi giorni, sono stato vittima di qualche disattenzione verso le regole dell’Islam che non conosco alla perfezione (ho cercato di presentarmi stringendo la mano alle donne, cosa vietata fra sconosciuti) e in ogni caso la sorella di Aziz mi ha chiesto “scusa per l’islam” più volte. Questo ha suggerito un nuovo approccio, ovvero cominciare ad approfondire l’argomento Islam con le persone attorno a me.
Arrivo a Tehran in un giorno solo e mi istallo in un ostello per riposarmi come si deve e riprendermi dalla settimana che ho dedicato al Turkmenistan e ai problemi che la moto mi ha appena dato. Durante la settimana nella capitale ricevo il pacco inviato da Ylenia e realizzo il secondo tagliando on the road (questa volta dall’ostello). Poi riparto sud-est in direzione Pakistan.
Lungo questi 2.000 km prevedo di toccare le città di Esfahan, Shiraz, Yaz, Kerman e Zahedan. Non ho una mappa e così ricopio su un foglio la foto di una che ho trovato nell’ostello giorni fa.
La temperatura sale e con lei aumenta proporzionalmente il calore delle persone che incontro. Sono tutti interessati di sapere da dove vengo e mostrano grande interesse per le mie necessità di visitatore. Dove vado, dove mangio, dove dormo. Se possibile, loro sarebbero contenti di aiutarmi in ognuna di queste fasi. Durante la tratta che mi porta a Esfahan sbaglio il calcolo della riserva e mi ritrovo in autostrada con il serbatoio vuoto, ma passano pochi minuti e Bagher, avvocato di Esfahan, mi viene in aiuto prestandomi 2 litri di benzina e poi scortandomi alla prima stazione di servizio. Passano pochi minuti e sono già invitato a passare la notte in casa sua. Quella stessa sera srotolo la mia lista di domande sull’Islam, le regole da rispettare, il pensiero delle persone e quello che ricevo in risposta è la più forte delle conferme: la maggior parte degli iraniani, specialmente i giovani che si confrontano con internet e la globalizzazione, non ha scelto di vivere sotto certi dettami e certamente vorrebbe cambiare stile di vita. Si parla di una nuova rivoluzione, fra 5 0 10 anni, ma – spiega l’avvocato – ma ogni rivoluzione uccide le persone e le persone hanno paura. Anche in Iran.
L’indomani visitiamo assieme il Bazar della città e il parco museo, poi è già tempo di proseguire, ho pochi giorni di visto e ancora 1.500 km da percorrere.
Proseguo dunque verso Shiraz, ma prima di arrivare è doverosa una sosta alla città di Persepolis che visito a piedi per qualche ora, aiutato dalle prime ore fresche del mattino. Con le temperature che a mezzogiorno raggiungono i 47°C, sono giorni in cui mi metto alla guida alle 6 del mattino e questo mi permette di arrivare presto a destinazione e visitare a fondo le parti interessanti. Grazie a questo ritmo di viaggio riesco ad addentrarmi a piedi nei bazar, le cittadelle, i santuari, le moschee e i quartieri dove le persone del posto passano le serate in famiglia, bivaccando all’aperto e facendo dei bellissimi picnic.
Proseguo per Yazd, prima città del mondo costruita in adobe (un impasto di argilla, sabbia e paglia) e durante la passeggiata fra le vie labirintiche di questa splendida città mi rendo conto di aver calcolato male i giorni del mio visto e di avere a disposizione gli ultimi due. Devo essere alla frontiera con il Pakistan domani (890 km) se non voglio uscire con il visto scaduto.
Così l’indomani sono sveglio alle 5 e alle 6 sono in strada. La prima parte della giornata non supera mai i 35°C e copro tranquillamente i primi 400 km entro l’ora di pranzo, dopo il quale approfitto per fare una penichella. La seconda parte della giornata invece mi vedo impegnato nella traversata del deserto E-Lut, del quale ignoro la fama: punto più caldo della terra con temperature massime che hanno toccato i 70,7 °C.
Dopo la città di Fahraj il termometro sulla moto supera i 40°C e sembra non volersi fermare. La scarsa vegetazione fino a quel momento presente sparisce e il colore della sabbia ha adesso un colore scuro, come quello della cenere vulcanica. L’asfalto prosegue retto, inesorabile mentre attorno a me circolano solo camion. Il termometro segna i 50°C e l’aria che respiro è così calda che al chiudere la montoniera del casco provo un certo sollievo.
La temperatura arriva a 54°C e la moto comincia a dare segni di surriscaldamento, con la lancetta della temperatura dell’acqua che indica la zona rossa. Mi fermo, mi cospargo d’acqua, bevo e getto acqua fresca sul motore, dal quale si sprigiona una grande nube di vapore. Rimonto in sella, la temperatura raggiunge i 57°C e pochi secondi dopo la moto comincia a perdere colpi. Temo il peggio, pensando che il motore abbia tirato la corda, ma perplesso sull’accaduto faccio un controllo sul bordo della strada e constato felicemente che il problema è un altro, ovvero, sempre il solito problema: sono rimasto a secco di benzina. Ero convinto di averne abbastanza, ma evidentemente il caldo mi sta dando alla testa.
Sul lato della strada la temperatura è di 47°C e si fermano tutti per soccorrermi, regalarmi una bottiglia d’acqua, della frutta e offrirsi di aiutami in qualche modo. Un camionista conosce bene la zona e dice che avviserà la polizia che dista pochi km da dove sono fermo. Loro provvederanno a portarmi della benzina con cui potrò raggiungere il prossimo distributore.
L’operazione si svolge alla perfezione, ma il deserto di E-Lut è ancora molto grande e io non sono nemmeno a metà. È impressionante come la sabbia sollevata dal vento caldo renda questo posto un vero e proprio infermo, dove nemmeno la luce del sole riesce a filtrare normalmente. Il caldo è opprimente ma per fortuna alle 19:30 esatte il sole tramonta e la temperatura comincia lentamente a diminuire. Sembra paradossale ma dopo ore sopra ai 50°C, viaggiare a 45 sembra abbastanza piacevole.
Arriverò a Zahedan per la notte, provato dal caldo e in cerca di un hotel, che per fortuna trovo abbastanza velocemente. Da questa stessa zona e a 90 km dalla frontiera pakistana, vi invio questo aggiornamento.
Se lo gradite, apprezzate e vi entusiasmate, condividete sui vostri profili social o taggate nei commenti i vostri amici moto-appassionati.
Grazie”
 
DIARIO DI BORDO DEL VIAGGIO: http://goo.gl/8npTov
MAPPA DEL VIAGGIO: https://goo.gl/dDrxyn
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NOTE
Questo è un viaggio autofinanziato durante il quale testo in condizioni estreme i prodotti forniti dai marchi per i quali sono Brand Ambassador. I video aggiornamenti sono pillole che anticipano l’uscita di un cortometraggio che uscirà a Novembre.
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Relativo a Gionata Nencini

Mi chiamo Gionata Nencini, toscano classe 1983 e viaggiare in moto è la mia più grande passione. Nel 2005, a 21 anni, parto per il giro del mondo con in tasca solo 2.200 euro e oggi ho uno storico di 500.000 km percorsi in solitaria attraverso 77 paesi. PARTIREper è il blog che racconta le mie esperienze e quelle della mia community.

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